Sono (quasi) arrivata alla fine del percorso che ha riempito la mia vita per oltre 8 lunghi anni. La laurea è vicina e io sono felice, come potrei non esserlo? Ho sofferto, pianto, mi sono disperata, ma da qualche giorno controllo il mio libretto universitario ogni 20 minuti, per verificare che io abbia sostenuto davvero l’ultimo esame della mia carriera universitaria, e non sia stato solo un sogno! Ancora non ci credo!
Siamo a settembre e il mio tirocinio va a gonfie vele. Non ho fatto ferie, sono stata una settimana al mare con il libro di diritto penale sotto il naso per tutto il tempo. Mi aspetta una operazione ai denti del giudizio che sono messi in una posizione terribile e che richiederà una convalescenza di una settimana. Sono comunque fiduciosa che il mio impegno sarà ripagato, la mia vita da 3 mesi consiste in una routine rigidissima: tirocinio, studiare, mangiare, dormire. Il giorno in cui devo sostenere l’ultimo esame arriva, ho studiato, magari non come avrei voluto ma non è facile quando si sta 8 ore al giorno fuori casa d’estate con il caldo e la stanchezza. Mi faccio coraggio, mi siedo. Inizio a parlare, non vedo il coinvolgimento da parte del professore che solitamente percepisco quando vado ad un esame. Svogliato incrocia le braccia e capisco che qualcosa non va. Mi chiede perché non ho il codice, rispondo che l’ho dimenticato a posto, “Lo vada a prendere”. Mi alzo in mezzo all’esame, tutti mi guardano, mi chiedono cosa sia successo, “Sei bocciata?”. Non ancora, penso. Prendo il codice e torno alla scrivania. Mi chiede un articolo, lo leggo, lo spiego. “Lei parla una lingua molto strana, mi toccherà tradurre quello che sta cercando di dirmi, che peraltro è sbagliato”. Mi blocco. Mi sta prendendo in giro, sta giocando con me come il gatto fa col topo, quando si sarà annoiato mi butterà. Eppure ho fatto del mio meglio. Fa niente. Questo professore ha la fama di essere un po’ stronzo, non me la prendo. Gioca con il mio libretto tra le mani mentre mi chiudo nel mio mutismo. “Bene, arrivederci” dice cantando quasi. Esco dalla stanza e mi viene un groppo in gola. A cose fatte non credevo ci sarei stata male. Incrocio altri ragazzi che hanno avuto la mia stessa sorte. “È la quarta volta che lo provo, non so più come fare per passarlo”, mi dice uno. “Io ho la tesi pronta, sto aspettando di passare solo questo esame, è un incubo” dice un altro. Gli studenti lì intorno annuiscono, sono già stati rimandati diverse volte. A questa sessione sono passati in 2 su 18. La media è terribile. Torno a casa sconsolata, mi aspetta ancora un mese di tirocinio e poi potrò studiare in santa pace.
A metà ottobre il tirocinio finisce, il giorno dopo mi aspetta un’altra operazione all’altro dente del giudizio, un’altra settimana di convalescenza. Adesso che ci sono, mi rendo conto che il tempo che mi è rimasto non è poi così tanto. A inizio novembre ci sarà di nuovo l’esame. Poco prima del mio compleanno, spero non me lo rovinerà! Inaspettatamente il professore acconsente alla richiesta di pochi studenti a cambiare la data dell’esame ad una settimana dopo quella prevista. Pochi giorni dopo il mio compleanno. Ora sicuramente sarà rovinato! I miei genitori insistono per festeggiare comunque con qualche regalo e una bella torta. “Che tu sia promossa o meno all’esame non è giusto rinunciare a festeggiare il tuo compleanno”. Mi pare giusto. Pochi giorni dopo mi trovo di nuovo davanti alla scrivania del professore. Tremo di paura, è l’ultima chance per laurearmi a dicembre, dopodiché dovrò aspettare di nuovo altri 2 mesi. Vorrei davvero finire tutto prima di dicembre, e regalarmi un Natale sgombro di pensieri e di ansia! Prima che io possa pensare a come potrebbero essere i prossimi mesi se riuscissi a lasciarmi tutto alle spalle, il professore mi fa una domanda e le mie paure prendono forma. “Peccato”, riesco solo a pensare. Scena muta finché non decide che ne ha abbastanza e mi silura nel giro di 2 minuti. È finita, penso. Passo una settimana di inferno, piango, mi dispero. Non lo passerò mai più. Non mi è mai capitato in tutta la carriera universitaria di ridare un esame per più di una volta, adesso che questa regola è stata tradita chissà quante volte mi toccherà ridare questo esame prima di passarlo.
Dicembre è iniziato e io sono in agitazione. Se non dovessi farcela neanche stavolta so che avrò solo un’altra occasione per potermi laureare a febbraio. Sono entrata in un meccanismo di incertezza, chissà tra quanto riuscirò a finire di questo passo. Lo sconforto mi accompagna per tutto il mese dopo l’ultima volta che ho provato a dare l’esame. Passo le sere a studiare davanti al camino, con tanta tristezza e poca fiducia ormai. Ma ci siamo, e devo tirare avanti, devo stringere i denti, tanto nel bene o nel male tutto finirà comunque presto.
In questo giorno di metà dicembre fa freddo e io mi ritrovo di nuovo a torcermi le dita dal banco di un’aula che puzza di sudore e paura. Prima di me sono state passate 3 persone, due dei quali con 26 e una col 18, ma le domande erano difficili e loro sono stati bravi. Il resto dei ragazzi ha fatto scena muta. Sono le 11 e mi gira la testa. Mi siedo davanti alla cattedra, sono pronta alla battaglia! La prima domanda piomba su di me ma io non ho più paura. Inizio a parlare disinvolta, spigliata, non lo faccio parlare, non mi fermo. Non permetterò che prenda il controllo, non gli lascerò la soddisfazione di umiliarmi come le altre volte. Questa volta si gioca ad armi pari e gli dimostrerò che merito rispetto da parte sua. È soddisfatto, così arriva la seconda domanda. Metà dell’opera è compiuta, mi manca tanto così per arrivare a quello che voglio. Forse ho una possibilità. La domanda la so, l’ho studiata, ci ho messo un pomeriggio intero per capire l’argomento e ne è valsa la pena. La mia spiegazione non si interrompe mai, il coraggio che sento dentro si espande oltre confini inimmaginabili. Mi prende in contropiede con una domanda, ci ragiono qualche secondo, ma non farò scena muta, non questa volta. Rispondo, sicura di me, e riprendo da dove ero rimasta con la mia spiegazione, togliendogli la soddisfazione di avermi messa in difficoltà. Parlo per altri pochi secondi quando mi interrompe. “Va bene, va bene, basta così”. Adesso sorride e so che forse, FORSE, è davvero la fine. Scrive qualcosa su un foglio e lo cerchia. “Le sta bene questo voto?”. Guardo. 27. Mi tremano le gambe ma la voce non mi tradisce. “Assolutamente” dico con il sorriso di chi vanta la sicurezza di ciò che si merita, niente più niente meno. Mentre invece dentro di me il tripudio di gioia mi sta facendo solleticare il cuore. Mentre lui sorride e apre il libretto mi dice “Vedo che questo voto è una certa costante nella sua carriera”. “Meno male!” rispondo io. Gli offro la mia mano in segno di rispetto e saluto, “in bocca al lupo per tutto” mi dice. Mi sento bene e mentre mi alzo e senza pensare ad altro urlo dentro di me: “Andiamo a Berlino! Andiamo a prenderci la coppa!”.
È finita così, con un pianto liberatorio in cortile mentre ero al telefono con mia mamma, che pensava mi avesse bocciato per via della mia voce rotta. Ha pianto anche lei con me, poco dopo, quando ci siamo incontrate fuori dall’università dove mi aspettava. È stato un momento emozionante, bellissimo. Devastante anche. Non è facile, dopo 8 anni, abituarsi a non avere più l’ansia di un esame da studiare, di passare o non passare. Non è facile abbandonare la routine di sconforto e tristezza che assale nel passare le vacanze in casa o con i libri. Ma anche se tutto questo non scompare con un colpo di spugna, sicuramente adesso la mia testa viaggia libera versi lidi nascosti che finora ha osato solo immaginare.
Il giorno dopo del mio ultimo esame mi sono ammalata, il mio corpo ha lasciato andare tutto il malessere che ha trattenuto fino al giorno prima dell’esame, dove già stava arrancando con un po’ di mal di gola e dolori influenzali. L’adrenalina e un antinfiammatorio non mi hanno permesso di rilassarmi finché non ero sicura che il peggio era passato. Oggi è il 23 dicembre, e fino a ieri sera ho avuto la febbre a 38. Avrei sperato di passarlo diversamente questo Natale, ma vi dico la verità: che io lo passi da malata o no, sicuramente lo passerò da persona che ha finito gli esami e che finalmente a febbraio si laureerà! E non c’è niente che mi importi davvero se non questo! Quindi viva me e la mia ritrovata felicità, anche dopo così tanto tempo che si era assopita sotto un ammasso di libri e di difficoltà.
Con il racconto della mia avventura/disavventura colgo l’occasione per augurarvi vacanze bellissime. Che possiate passarle con i vostri affetti e facendo le vostre cose preferite. Vi auguro tanta felicità, perché è ciò che ognuno si merita dopo una lunga battaglia, di qualsiasi genere. Vi auguro un Natale gioioso e spensierato, e se così non sarà vi auguro di trarre il meglio da ogni situazione, per non arrendervi a cercare quello che ci sembra di non trovare mai, ma che in fondo basta accettare dentro di noi. Un augurio a noi, anime perse che non abbiamo amato abbastanza noi stessi un po’ prima. Non è mai troppo tardi per essere felici.
Infine grazie a chiunque legga questo pezzo di vita quotidiana che fa parte di me, per la vostra presenza e la vostra attività nel mio blog. Siete anche voi la mia famiglia da qualche anno, e vi voglio bene!
Vi abbraccio fortissimo!
The Hidden Girl
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